Bonnie La Cozza

Ti sei mai chiesto come diventare influencer sul web, ampliare i tuoi follower sui social network e continuare a farlo divertendoti? Soprattutto, diventare influencer è un punto di arrivo o di partenza? E’ davvero così facile guadagnare facendosi qualche selfie o twittando qualche pensiero? E poi… chi si “nasconde” dietro questi profili? Che vita conduce? La posizione di successo sui social media è compatibile con la vita reale, con una famiglia, con l’essere mamma?

Quante domande…

Forse è il caso di provare a capirci qualcosa in più facendo due chiacchiere con chi questa strada l’ha percorsa (e poi abbandonata).

Bonella Ciacci ha vissuto un periodo di alta notorietà dietro il nickname di “Bonnie La Cozza”. I suoi tweet ricevevano continui like e “retweet” mentre il numero dei suoi follower aumentava ora per ora. Scopriamo la sua storia.

D. Ciao Bonnie, grazie per aver accettato questa intervista che sono sicuro risulterà molto interessante per chiunque si stia chiedendo come diventare influencer sul web e quali siano i pro e i contro di questa – vera e propria – attività. Inizio col chiederti di parlare brevemente di te. Chi sei, cosa fai…

R. Mi chiamano Bonnie tutti da quando avevo 19 anni, quindi diciamo che il mio nome è ormai questo. Il cognome LaCozza è stato gentilmente concesso dalla mia amica Laura Antonini di Radio Deejay che mi prendeva in giro per i selfie che mi facevo, dicendomi che volevo fare tanta scena ma sono una cozza (detto con amichevole ironia, spero). Lavoro nel settore turistico, sono la manager di un wine resort, e ho un mezzo passato da quasi influencer (anche se non credo di aver mai influenzato nessuno ma soltanto venivo contatta per alcune campagne marketing sui social). Potrei dire anche madre e moglie, ma benché lo sia, queste espressioni le trovi estremamente riduttive. Sono una donna, con tutto ciò che ne consegue.

D. Hai vissuto un momento di grande notorietà sui social network, Twitter in particolare. Com’è nato tutto questo?

R. Non ne ho idea…io mi iscrissi a Twitter, per molto tempo l’account rimase piantato con qualche centinaio di followers… Poi iniziò a crescere, anche grazie alle amicizie credo, e sicuramente alle foto. Brutto e tristarello a dirsi, ma se hai un paio di tette nella foto profilo, arrivano followers a cascata. Almeno era così qualche anno fa, parlo del 2010/2011. Ora è cambiato il social, sono cambiate le dinamiche, l’algoritmo stesso, e non ho neanche idea di come oggi potrebbecrescere un profilo, se non facendo un po’ di attività “fake” come comprare followers o simili.

D. Ti definiresti una Twitt-star?

R. Non mi ci definivo allora (mi ci definivano gli altri) e ora che lo uso pochissimo men che meno.

D. Quanto costa, in termini di tempo, “coltivare” e far crescere il proprio gruppo di followers?

R. A posteriori ti dico “TROPPO”. Bada bene, io non ho mai seguito strategie precise. Mi sono sempre rifiutata di star dietro ai top trend, agli orari in cui postare, o i contenuti di maggior richiamo… Ho sempre fatto tutto in modo molto spontaneo. Leggevo una notizia su un giornale che mi faceva venire in mente una battuta? Che fossero state le 15 o le 21, postavo. Quasi mai mettevo in bozza attendendo l’orario di maggior presenza di utenti online. Mi facevo una bella foto (quando si è iniziato a poter postare foto)? la postavo. Benché molti miei amici lo facessero, le poche volte che ci ho provato in realtà andava malissimo… non so, forse mi si leggeva tra le righe che non ero spontanea.
Al tempo stesso, adesso che me ne sono allontanata, ho capito quanto tempo ho tolto a famiglia, amici, lavoro. Tempo ma soprattutto attenzione, perché magari ero sul divano a guardare un film, ma invece di commentarlo col mio compagno, lo commentavo con la gente di twitter. E adesso ho capito quanto è profondamente sbagliato. Ho tolto attenzioni e cure a persone che non se lo meritavano. Tanto più perché non ho fatto dell’attività di influencer, la mia vita.

D. Ti sei mai chiesta come mai “tu si” e “atre no”? Cosa ti ha permesso di emergere rispetto alla “concorrenza”?

R. Milioni di volte, senza sapermi dare una risposta. Da amici e altri account ho ricevuto tante belle parole, tanti commenti, tanti incoraggiamenti a continuare e farne qualcosa di più. Ma non mi hanno mai convinta. Non mi sentivo dentro quello che vedevano loro. Poca fiducia in me stessa? Sicuramente. Ma di gente arrangiata, che fa lavori senza alcuna competenza, che parla perché ha la bocca (e scrive perché ha le dita) ne vedo fin troppa. Preferisco essermi fermata prima di fare quella cazzata.

D. Hai tratto dei vantaggi concreti, intendo economici o di “opportunità lavorative” grazie al tuo successo social?

R. Ho fatto qualche attività da influencer, qualche “marchetta” (come le chiamano gli utenti), che mi ha aiutato ad arrotondare il mio stipendio, ma mai nulla da poterci campare, e scartando sempre quelle attività completamente fuori dal mio gusto. Ma è un mondo che non mi piace. Se un prodotto non mi piaceva, non potevo dirlo apertamente perché mi pagavano, e questa cosa mi frustrava. Alcune influencer di oggi dicono “vi parlo di un prodotto solo dopo averlo provato e solo se mi convince”… Adesso è un po’ che non faccio più marchette, quindi magari qualcosa è cambiato nei rapporti influencer/agenzie, ma continuo ad essere molto scettica e trovo che l’influencer marketing sia a volte addirittura peggiore dei canali più tradizionali. Gli influencer si fanno seguire costuendo un rapporto di pseudo-fiducia con i propri followers, interagendo molto e rispondendo a tante domande, creando la falsa illusione di replicare quel rapporto di mutua fiducia che si ha con un amico che ti dice “ho comprato questo oggetto x nuovo, è una figata dovresti provarlo!”. Ma la realtà dei fatti è che non è così, e che ti stanno sostanzialmente abbindolando.
Capite queste dinamiche, provato disgusto per me stessa, ho smesso.

D. “Tette” o “concetti”. Cosa “tira di più” su questi canali?

R. TETTE (tristemente).

D. Esiste ancora il concetto di Twitt-star oppure questo social network in particolare si è evoluto in altre direzioni?

R. Twitter non è più il terreno peferito dalle agenzie di comunicazione, non come una volta. Ora l’influencer marketing si fa sulle stories. Non credo esista più, come esisteva prima, il concetto di twit-star. Il social si è involuto, direi, più che evoluto. E di questo passo rimarrà, come era all’inizio, un social per pochi, pure un po’ snob.

D. Qualche anno fa sei diventata mamma. Non ti chiedo come sia cambiata la tua vita “pubblica” da allora; sono più interessato a sapere se e come prevedi di educare tua figlia all’utilizzo dei social network.

R. Mia figlia voglio crescerla cosciente di cosa sono i social e di cosa comporta la propria presenza online. Io non credo a “non pubblicate le foto dei figli che ci sono tanti pedofili online”. I pedofili ce ne sono, dappertutto, e ci sono sempre stati, si sono sempre scambiati materiale pedopornografico e non postando la foto di tua figlia che mangia la pizza non hai risolto niente. Finora io ho postato pochissime foto di lei di faccia, con noi, e solo per occasioni importanti (compleanno, festa della mamma…), una di quelle foto che un tempo avresti stampato e messo in una cornice in casa (la mostro nelle Instagram stories perché durano 24h e non rimangono ad imperitura memoria). Per il resto non mostro molto il suo volto più che altro perché credo nel rispetto della sua privacy e della sua identità in quanto individuo. Piano piano gliene sto iniziando a parlare per spiegarle cosa vuol dire fare un video, mettersi online, mostrarsi… e poi quando sarà più grande (adesso non ha ancora neanche 4 anni), le spiegherò anche i rischi. Quindi voglio che sia cosciente, non impaurita. Voglio che conosca i mezzi e sappia difendersi, ma sopratutto prevenire problemi e spiacevoli situazioni.

D. C’è un libro che in qualche modo ha plasmato la tua personalità o il tuo modo di vedere le cose che ti senti di consigliare a tutti?

R. Leggo tanto, ma un libro che mi abbia plasmata, uno solo, non direi. Una ventina forse, a ridurli all’osso. Se proprio devo citarne uno ti direi Cime Tempestose. E’ il mio libro del cuore… sono in fondo un’ inguaribile romantica, nascosta sotto strati e strati di cinismo.

D. Prepara la sfera di cristallo. Credi che i social continueranno ad essere così pervasivi oppure si arriverà ad una fase di saturazione che darà il via alla loro “parabola discendente”?

R. Non saprei proprio… gli scenari possibili sono tanti. Credo comunque che la comunicazione online, sia sui social o su canali ancora da inventare, diventerà comunque il mezzo predominante, sia per i rapporti che per i prodotti, che per l’evoluzione della quarta arte (cinema) e suoi affini.

Come abbiamo visto insieme a Bonnie La Cozza, diventare influencer non è tutto rose e fiori. Spesso questo mondo ti costringe a scendere a compromessi, a snaturare te stesso. Lei col tempo si è convinta che la naturalezza, l’autenticità e la spontaneità siano dei valori imprescindibili e sostanzialmente costituiscano l’unico modo per creare rapporti di fiducia con le persone. Com’è sempre stato, d’altronde, dalla notte dei tempi.

E devo dire che mi trova molto, molto d’accordo.

“Influenzare” è una parola che in genere ha un’accezione negativa. Suona quasi come “raggirare”, “convincere del falso”. Perché, mi domando io? E’ forse un’accezione nata recentemente, per via dell’uso “pubblicitario” che attualmente si fa di questo termine? Probabilmente si.
Il consiglio che mi sento di darti è di fare dell’influenzare un’arte che produca effetti positivi per te e per gli altri. Si può fare tranquillamente, e questo porta con se risvolti altamente positivi nella tua vita e in quella delle persone che ti stanno attorno. C’è un libro in particolare che può aiutarti a individuare una serie di comportamenti vitali che producono cambiamenti rapidi e profondi, applicare strategie per modificare pensiero e azione e utilizzare sei fonti di influenza per rendere inevitabile il cambiamento. Lo trovi qui sotto. Buona lettura.

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