Francesco Mazza

Quasi 20 anni fa ho condiviso con Francesco Mazza una trasferta in Germania per assistere ad un evento sportivo. Mi aveva colpito subito questo ragazzo intelligente, introspettivo e ironico.

D. Ciao Francesco, grazie per il tempo che hai scelto di dedicarmi.

Per me è davvero un onore poterti rivolgere qualche domanda. Sono sicuro che hai molto da raccontare a chi legge.

Racconta qualcosa di te, presentandoti a chi non ti conosce.

R. Mi chiamo Francesco ma da sempre tutti mi chiamano Francio. Lavoro come scrittore/regista e il mio obiettivo e’ fare un film.

D. Quando e come hai scoperto di avere una passione per la regia?

R. A 15 anni andai al cinema a vedere “Arancia Meccanica” in vestione restaurata. Erano gli anni ’90 quando le cose non erano disponibili con due click e quindi imperversava la “tradizione orale”. C’erano film, cantanti,  fenomeni che diventavano leggende metropolitane, di cui sentivi  parlare ma a cui non potevi rapportarti direttamente.
“Arancia Meccanica” era uno di questi, cosi’ appena uscii al cinema andai a vedermelo da solo, mentendo alla cassiera sull’eta’.
Non capii praticamente nulla ma nello stesso tempo mi resi conto di come si trattasse di un’opera d’arte totale, gravida di significati a me ignoti. Cosi’ mi appassionai al cinema di Kubrick, che poi negli anni imparai a comprendere. Anche se a ben vedere l’opera di Kubrick, come quella di tutti i piu’ grandi, non si finisce mai di scoprirla.

D. So che hai fatto la tua “gavetta” in TV. Credi che bazzicare in quell’ambiente ti abbia dato più opportunità nel ritagliarti il tuo attuale ruolo professionale oppure pensi che comunque saresti arrivato?

R. Il mio percorso professionale puo’ essere riassunto con un frase che credo tu conosca: “don’t try this at home”.
In realta’ io inizio a lavorare in TV dalla porta principale, prima come ospite ricorrente di Michele Santoro e poi come co-conduttore a Italia Uno. Poi mi licenziano ma grazie a quelli che Tiziano Sclavi chiama “gli arabeschi del destino” due anni dopo entro con uno stage gratuito a Striscia La Notizia. E’ vero che li dentro “faccio la gavetta”  ma e’ anche vero che Striscia e’ una scuola e un ambiente talmente eccezionale che una volta che sei dentro e vuoi fare il lavoro dell’autore televisivo, sei nel migliore dei mondi possibili, anche se ti occupi di sostituire il boccione dell’acqua.
Col tempo, il desiderio di sperimentare una strada mia ha prevalso sul resto: le passioni, quelle vere, prima o poi esplodo sul serio, e quindi a 31 anni sono tornato a scuola, trasferendomi a New York per fare l’Universita’ di cinema.
Se non ci fosse stata Striscia, comunque, non ho dubbi: ora sarei in galera o in ospedale.

D. Gli Stati Uniti. Per tanti della nostra generazione hanno rappresentato un vero e proprio sogno, dettato anche da ciò che ci veniva proposto tramite il grande schermo e le pubblicità. Credi che sia ancora così oppure le nuove generazioni non vivranno “l’American Dream”?

R. L’American Dream e’ morto da un pezzo, e la situazione che attende un immigrato negli States di oggi e’ alla base del mio corto di tesi “Frankie”, che poi fu finalista ai “nastri d’argento” 2016.
Non so cosa sognino le nuove generazione, io ormai sono vecchio dentro e ci sono cose dei giovani di oggi che proprio non capisco e tollero a fatica, come la trap o gli atteggiamenti passivo-aggressivi. Se hanno smesso di sognare l’America buon per loro, perche’ l’America come Terra delle Opportunita’ non e’ piu’ un’opzione. La dura realta’ e’ che non ci sono piu’ posti per nascondersi, neppure il un chiringuito sulla spiaggia tropicale.

D. Oltre ad essere un regista, hai scritto degli articoli di successo che ti hanno permesso anche di vivere situazioni decisamente forti. Parlo ad esempio della visita nella redazione di Charlie Hebdo, a poca distanza dall’attentato di cui è stata teatro. Che valori ti ha lasciato questa esperienza?

R. Quello fu uno di quei giorni, pochissimi nella vita di una persona, che davvero mi hanno cambiato la vita. L’immagine di Coco’, la ragazza disegnatrice di Charlie cui i terroristi puntarono l’AK-47 in faccia per farsi aprire, china sui fogli a disegnare Donald Trump con la vagina, con il giubbotto antiproiettile ai suoi piedi e la redazione protetta da decine di agenti segreti armati fino ai denti, e’ l’istantanea da incubo che racconta i paradossi, le anomalie, il livello di follia raggiunto dall’Occidente. Sono d’accordo con lo scrittore francese Houllebecq quando dice che prima o poi la liberta’ e l’eta’ dell’illuminismo saranno solo un ricordo.

D. Parlando di “valori”, quali credi siano i tuoi, quelli che ti hanno permesso di inseguire un sogno e di raggiungerlo?

R. La costanza. Di geni con “grandi idee” sono pieni i social network, cosi’ come di creativi pieni di talento o di cervelloni ricchi di cultura e titoli di studio. L’unico superpotere che oggi fa la differenza e’ la dedizione, la determinazione matta che ti porta a scollegare la connessione wi-fi e a metterti a lavorare ogni giorno per raggiungere l’obiettivo che ti sei posto.

D. Come si svolge la tua “giornata tipo”? Segui delle routine legate al benessere, alla concentrazione, all’alimentazione oppure sei una persona che vive più “alla giornata”

R. In questo momento sto lavorando a un documentario legato al mondo delle MMA italiane. Il documentario racconta realta’ molto diverse, ma la cosa interessante e’ che ruota attorno alla preparazione fisica e tecnica che sto affrontando per esordire nell’ottagono in un match da semi-pro. E’ una specie di “Supersize me” dove invece di farti male con il junk-food ti fai male con le botte in gabbia. Al momento le mie giornate sono molto condizionate dagli allenamenti e assomigliano a quelle di un monaco tibetano.

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D. Elenca tre cose che non bisogna mai perdere di vista per migliorare nella propria professione.

R. Costanza, passione, umilta’. Come dice il mio maestro Garcia Amadori: “le cose semplici rovinano, le cose difficili aiutano”.

D. C’è un aspetto del tuo lavoro che ti crea maggiori difficoltà nell’affrontarlo? Che strategie adotti per fargli fronte?

R. La politica. Tutto, in Italia, e’ politica, mediazione, trattativa, conoscenza, raccomandazione. Il nostro ex Ministro del Lavoro ha detto ai giovani che per trovare lavoro non serve il CV, serve essere bravi a calcetto. Questa e’ la cosa che davvero mi manca dell’America e questo e’ il grosso handicap che ci portiamo dietro come Paese, che ci impedisce di superare gli altri: questa cultura mafiosa latente per cui ad essere in causa non e’ mai la qualita’ del tuo lavoro ma il tuo pedigree politico/sociale. Ma di nuovo, fa niente: bisogna scollegare il wi fi e andare avanti a testa bassa. Non c’e’ altra scelta, se non il suicidio di massa come le balene.

D. Ti senti arrivato? Oppure credi di avere ancora tanto da fare?

R. Se io, nelle mie condizioni, mi ritenessi anche solo lontanamente arrivato, sarei da far ricoverare immediatamente al piu’ vicino TSO.

D. Potresti consigliarci un libro che ti ha in qualche modo cambiato la vita e che credi debba essere letto da tutti prima o poi?

R. Ne dico tre:

“Estensione del dominio della lotta” di Houllebecq.

“Delitto e Castigo” di Dostoevskij.

“Open” di Andre Agassi.

Grazie mille Francesco per il tempo che ci hai dedicato.

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