Paolo Trubiano

Il telefilm Lost ha segnato una parte importante della mia vita, arricchita di amicizie indelebili e di storie al limite del fantascientifico (come Lost, appunto).
Una di queste ha a che fare col “diventare influencer”, anche se in modo alquanto bizzarro.

Diventare influencer per molti può essere un sogno o “punto di arrivo”.
Tanti ci provano.
Pochi ci riescono.
Alcuni, come Bonnie La Cozza, ci rinunciano pur avendo le potenzialità di farlo.

Altri, come Paolo Trubiano, lo diventano involontariamente, senza premeditazione.

Quando l’ho conosciuto, orma più di dieci anni fa, io e Paolo avevamo due cose in comune: il nome e la passione per un telefilm: Lost.

Una passione che ci ha spinti a collaborare nel progetto di LostPod, il podcast (trasmissione “radiofonica” su Internet) italiano su Lost.
Proprio durante quel periodo, accade che Trubiano diventa – da umile podcaster – un player involontario capace di cambiare la storia di un libro e del suo editore.

Una storia che merita di essere scoperta. Lascio quindi a lui la tastiera, sicuro che quanto sta per raccontarti saprà incuriosirti e – come sempre – aprirti la mente a nuovi stimoli e nuove idee.

Influencer involontario – di Paolo Trubiano

Quella che sto per raccontare è una storia esemplare, nel senso che ha un contenuto istruttivo e che funziona bene come esempio per un concetto su cui si sta facendo una riflessione, magari in ambito formativo. E infatti la uso da ormai due anni, mediamente una volta al mese, quando faccio formazione in Trentino.

Bisogna sapere che la Provincia Autonoma di Trento riconosce ai suoi disoccupati l’indennità solo se partecipano a corsi di formazione. Di più, ne organizza in tutti i centri più importanti del suo territorio, affidando a diversi soggetti gestori argomenti diversi, basati sulle competenze chiave dell’Unione Europea, le famose Key Competence.

Dal 2016, la società con cui collaboro da sempre, Dream srl, gestisce i corsi sulla matematica e il metodo scientifico, e io – grazie alla mia formazione scientifica: sono astronomo, anche se lavoro nella formazione e consulenza aziendale – mi occupo del modulo sulla matematica del quotidiano.

Affronto tutti gli aspetti in cui la matematica appare nella nostra vita, tranne che attraverso il denaro: in pratica, parlo di tutto quello che ha unità di misura diverse dall’euro. Tanta fisica, ma anche probabilità e giochi, e non ultime le reti sociali.

Quando arrivo a parlare delle reti sociali e dei numeri che le caratterizzano, cerco prima di tutto di avvalorare la teoria dei sei gradi di separazione con quanto scrive Robin Dunbar nel suo libro Di quanti amici abbiamo bisogno?. Ma inevitabilmente si arriva ad affrontare i risvolti online delle interazioni tra persone e finisco a parlare dei diversi tipi di social network.

Semplificando all’estremo (in aula ho gente con età, provenienza, formazione e esperienze lavorative di tutti – ma proprio tutti – i tipi), distinguo tra quelli più conviviali e occasionali come Facebook e quelli più tematici e ‘di interesse’ come Twitter, Instagram o YouTube.

Su Facebook spiego che è l’ambiente dove trovano più facilmente spazio bufale e fake news, proprio in virtù della naturaoccasionaledel social in questione, dove la reazione immediata e poco approfondita è la regola. E lì parlo di click-bait confirmation bias come parole chiave di questo meccanismo, e dove torno in-topic richiamando la necessità di esercitare, se non proprio il metodo scientifico, una sana verifica delle fonti, prima di condividere.

Quando invece parlo di Twitter, Instagram e YouTube, come esempi di social tematici, sottolineo che il funzionamento è diverso e che c’è più spazio per voci ‘autorevoli’ o che comunque costruiscono una reputazione sui contenuti che pubblicano.

Parlo di influencer, dunque.

A questo proposito, faccio vedere come la pubblicità peer-to-peerconsentita da questi social sia diversa e più mirata rispetto a quella broadcast, che segue un approccio più tradizionalmente server-client.

Sostengo che la pubblicità ormai serve a cambiare l’opinione delle persone rispetto a un prodotto/servizio e non più a renderne solo nota l’esistenza, e quindi l’uso dei social per renderlo appetibile è legittimo quanto quello dell’acquisto di spazi pubblicitari sui mass-media.

Non c’è niente di eticamente sbagliato nel pagare un influencer perché orienti i suoi follower, che volontariamente si lasciano influenzare da questo tipo di pubblicità, che è conversazionalee viraleal tempo stesso.

A quel punto racconto di come io in particolare sia stato influencer involontario per le vendite di un libro, Orizzonte Perduto di James Hilton, romanzo del 1933 da cui Frank Capra trasse nel 1937 il film omonimo, che vinse anche due Oscar.

Era l’autunno del 2006, e la serie televisiva Lost era il fenomeno di costume che tutti ci ricordiamo (con una certa nostalgia, ammettiamolo): le teorie, le comunità online, la partecipazione (molto web 2.0) degli spettatori alla costruzione della trama, non solo alla sua interpretazione.

Paolo Sartorio, che mi ospita sul suo blog, aprì anche un podcast dedicato alla serie e ai suoi approfondimenti, il mai troppo lodato LostPod, che ospitava me come recensore di libri che potevano aver ispirato Lost o contenerne chiavi di lettura.

Quando lo comprai per recensirlo su LostBooks, la mia rubrica su LostPod, trovai in tutta Verona una sola, sparuta copia di Orizzonte Perduto, dopo aver cercato in diverse librerie: teniamolo a mente.

Lost era un fenomeno di costume anche digitale così importante, che Gianluca Nicoletti ospitò Paolo in diretta a Melog, su Radio24, e fece ascoltare un pezzo del suo podcast – incidentalmente, il pezzo in cui io parlavo di Orizzonte Perduto– come esempio del fermento anche intellettuale degli appassionati della serie.

Era il 19 settembre 2006.

Orbene, dopo il passaggio su Melog, il nostro podcast fu uno dei 10 più scaricati in Italia di quella settimana (dopo Lo Zoo di 105, tipo), quindi letteralmente decine di migliaia di persone ascoltarono me parlare di quel libro.

Risultato?

Quando – poco prima di Natale – provai a comprare un’altra copia di Orizzonte Perduto da regalare, ne trovai intere pile in libreria. Evidentemente, le richieste conseguenti all’ascolto della recensione convinsero Sellerio, l’editore, a ristamparlo – e a farne un best-seller (sebbene nel breve periodo), cosa di cui mi resi conto solo ex-post.

Ovviamente non ho preso una lira da Sellerio, né prima né dopo.

Ho raccontato questa storia esemplare perché illustra bene l’effetto, sui comportamenti di acquisto delle persone, dell’opinione di un influencer, per quanto involontario: è sufficiente azzeccare il canale giusto – o, come nel mio caso, la successione di canali – per moltiplicare a dismisura la portata del parere (a torto o a ragione ritenuto autorevole) di una singola voce, della recensione favorevole su un prodotto anche di nicchia.

E quindi, come nella chiusa di un video di orientamento della Dharma Initiative, auguro a tutti gli influencer e aspiranti tali… namastée buona fortuna!

Paolo Trubiano

Come hai potuto leggere da questa storia raccontata da Paolo Trubiano, rispetto a pochi anni fa le nostre possibilità di influenzare acquisti, abitudini e comportamenti sono davvero stupefacenti. Non occorre più essere dei “VIP” per farlo: grazie ai social e ai mezzi digitali siamo un po’ tutti influencer. Si tratta solo di prenderne atto e di convogliare tutto questo in opportunità di crescita.

Se non hai mai visto il telefilm Lost, ti consiglio di farlo: ormai si trovano tutte le stagioni ad un prezzo abbordabilissimo.

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