Massimiliano "Mastermax" Malnati

Diventare un DJ professionista potrebbe essere annoverato tra le moderne risposte alla storica domanda “cosa vorresti fare da grande”? Sembra infatti che il mondo della musica elettronica e tutto il suo enorme indotto, fatto di festival, di tour e di serate, stia vivendo una nuova “golden age”, ben più ricca delle precedenti che abbiamo vissuto o delle quali, per questioni anagrafiche, abbiamo sentito parlare.

Ma com’è la vita di un moderno DJ? Come si incastra per via di orari e impegni con il resto della società? Cerchiamo di scoprirlo in questa intervista a Massimiliano “Mastermax” Malnati.

D. Ciao Mastermax, grazie innanzitutto per aver deciso di rispondere a queste domande. Se ti chiedessi di dirci in poche parole chi sei e cosa fai, come risponderesti?

R. Sono un ragazzo non più giovanissimo, visto che compirò 50 anni ad agosto. Ho sempre lavorato nel settore della musica, soprattutto nello storico negozio di Varese “La Casa del Disco”, e poi – inizialmente come secondo lavoro – come DJ nei club della mia zona.

D. Una vita passata come responsabile di reparto presso uno storico negozio di dischi. Poi l’avvento del digitale ha messo in crisi il settore e di li a poco è arrivata la chiusura, con il successivo ridimensionamento dell’attività e il taglio di alcune figure professionali. Hai voglia di parlarci di questo momento della tua vita e di come l’hai affrontato?

R.  Ovviamente non è stato facile affrontare un momento così delicato, come la perdita del lavoro. A questo riguardo sono polemico nei confronti dello Stato, che credo non abbia aiutato il nostro settore in quella fase delicata come oggi sta invece facendo con l’editoria ad esempio. Pazienza, è andata così. Mi auguro solo che d’ora in avanti ci sia più attenzione a riguardo e che ci siano delle normative in grado di salvaguardare tutto il settore, compresi gli artisti stessi. Oggi infatti è difficilissimo guadagnare dalla produzione della musica; le fonti di entrata sono correlate perlopiù ad attività collaterali come le serate e gli eventi live. La conseguenza è che le etichette investono sempre meno negli artisti, sperimentando meno e andando sempre più a “colpo sicuro”.
Personalmente ho dedicato tantissimo alla Casa del Disco, rinunciando anche a percorrere altre vie professionali, come quelle che mi avrebbero permesso di fare il DJ presso località culto di questo settore come Riccione o Ibiza e credo comunque che la Casa del Disco mi abbia dato tanto.
Peccato che sia finito tutto. Probabilmente si potevano provare altre strade per “salvare il salvabile”. Ad esempio io ho realizzato un progetto parallelo, la scuola per DJ, che ha avuto molto successo e tuttora resiste. Quel corso ha portato più di 700 persone in sei anni e mi ha permesso di guadagnarmi uno stipendio durante quel periodo.

D. Una volta giravi le discoteche con una valigetta con alcune decine di vinili. Oggi hai una chiavetta USB che al suo interno ha una selezione di musica infinitamente più vasta. Che rapporto hai nei confronti della tecnologia al servizio della tua professione? La reputi totalmente positiva o credi che in qualche modo abbia fatto perdere ai moderni deejay quel “feeling analogico” che li rendeva unici?

R. La tecnologia è positiva al 95%. Prima giravo con 3 valige piene di dischi di generi diversi. Oggi dovresti portartene 20 di valige, cosa ovviamente improponibile. In tal senso la tecnologia, con l’avvento delle penne USB, ha dato tante possibilità in più.
Una cosa invece che non riesco proprio a sopportare è vedere un DJ lavorare con il computer a supporto della console;  mi sembra quasi di trovarmi di fronte ad un impiegato di banca più che a un intrattenitore e credo sminuisca la nostra figura professionale.
Il feeling analogico non mi manca e credo che quelli che affermano che il suono del vinile sia meglio di quello dei CD o delle tracce digitali stiano prendendo un abbaglio: ok la componente nostalgica, ma il suo digitale è molto più pulito!

D. Io e te viviamo nello stesso paese, sulle sponde del Lago Maggiore. In un film di Leonardo Pieraccioni, il protagonista diceva “in un paese di pochi abitanti si fa presto a diventare dei personaggi”. Tu però sei andato molto oltre la realtà locale, e sei riuscito ad affermarti a livello nazionale (e non solo). Come ci sei riuscito?

R. Mi ritengo una persona molto umile e timida e credimi… non mi sono affermato a livello nazionale, anche se ho ottenuto delle belle soddisfazioni con la classifica dei Dance Music Award dedicata ai DJ resident; quest’anno mi sono piazzato tra i primi 10, mentre l’anno scorso addirittura terzo. Quel briciolo di notorietà che ho acquisito è arrivata grazie alla dedizione, al lavoro e alla professionalità.

D. Utilizzi i social network per questioni professionali? In che modo?

R. Utilizzo regolarmente i social per promuovere la mia attività e le mie serate. Sono attivo soprattutto su Instagram e Facebook, dove ho un profilo personale ed una pagina “artista” interamente dedicata alla mia professione.

D. Come dicevi in apertura di intervista, non sei più un ragazzino di primo pelo. Questo alle volte può rappresentare un problema per via della stanchezza, dell’energia o semplicemente della visione che – per questioni meramente  fisiologiche – è più “fresca” nelle nuove generazioni? Oppure compensi tutto questo con l’esperienza e la gestione delle risorse che soltanto chi ha fatto “la gavetta” riesce ad ottimizzare così efficacemente?

R. Purtroppo a volte la stanchezza può davvero giocarti dei brutti scherzi. Alcune volte è stata la causa di alcuni piccoli incidenti d’auto, per fortuna senza nessuna conseguenza… Quando mi capita di lavorare lontano quindi mi fermo a dormire sul posto, per evitare questi spiacevoli inconvenienti e dedicarmi un po’ di riposo. Ad esempio ho una serata, il lunedì, in cui lavoro ad Ascona e finisco alle 5 del mattino. Altre volte le mie “serate” si concludono alle 6:00 del mattino seguente o anche alle 9:00…

D. Quando ti ho proposto questa intervista hai tenuto subito a precisare che fare il DJ non è tutto “rose e fiori”. Sicuramente c’è una visione molto stereotipata relativamente a chi svolge la tua professione. Ma qual è la realtà? Quali sono gli aspetti positivi e quelli negativi dello svolgere un lavoro come il tuo?

R. E’ vero che non è tutto “rose e fiori” e i motivi di questa mia affermazione sono tanti. Gli aspetti negativi sono legati a quello di cui parlavamo poco fa ad esempio, ovvero la stanchezza. Poi c’è la concorrenza, davvero spietata alle volte e – per ragioni culturali – ancora più accentuata in Italia. Poi devi essere disposto a fare tante rinunce. Io lavoro tutto il weekend da quando avevo 18 anni. Vedevo i miei amici solo saltuariamente alla domenica, quindi coltivare amicizie è sempre risultato più complicato. Lo stesso discorso vale anche nel rapporto con il partner, che ovviamente soffre per questi orari poco ortodossi. Nonostante sia raro, per fortuna, a un DJ resident come me può succedere alcune volte di trovarsi a lavorare in serate particolari con locali non esattamente gremiti. In tal caso sente la pressione, la responsabilità di quello che sta succedendo in pista, a differenza invece di quello che accade per i DJ cosiddetti “guest”, che arrivano nel locale, suonano il loro DJ set per un’ora senza preoccuparsi del feedback del pubblico; il loro cachet è comunque garantito!
A noi DJ resident capita poi di dover risolvere problematiche tecniche in tempo reale; prova ad immaginare una cassa che si rompe durante la serata e la tua musica non suona più! A me è capitato e sono dovuto intervenire.
Anche gli aspetti positivi però sono molti, anzi, a conti fatti decisamente di più di quelli negativi. Hai più tempo libero, hai visibilità, è un lavoro che ti mantiene giovane!

2018 Strings“2018 Strings” – DJ Jazz
Il rework 2018 del brano anni ’90 “Eighteen Strings” di Tinman

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D. Siamo orfani di Avicii, un ragazzo con un talento straordinario, che ha avuto un successo talmente grande da esserne letteralmente travolto, fino al triste epilogo della sua vita. Che opinione hai di quanto è successo? Quali spunti di riflessione ti ha lasciato?

R. Ho avuto un tono critico nei miei commenti sulla vicenda di Avicii. Non entro del merito della sua malattia o al fatto che abbia deciso di ritirarsi dai live. Non posso però accettare il suicidio. Avicii non aveva ragione per farlo; faceva comunque un lavoro bellissimo, a contatto con la gente e per di più era – meritatamente – pagato cifre astronomiche anche per esibirsi poche ore a sera. Questo non riesco ad accettarlo. 

D. Tramite i tuoi social network spesso indichi dei “dischi che ti hanno cambiato la vita”. Dimmi i tre dischi a cui sei più legato e spiegami perché.

R. E’ difficile selezionarne tre… ce ne sono tanti. Dovendo proprio rispondere… tecnicamente direi “Don’t stop” di Sylvester.
Questo pezzo è legato al ricordo che ho per “Master Chicco” Enrico Ferrari, purtroppo scomparso, che è stato uno dei miei maestri.
Poi “My body & my soul” di Marvin Gardens, che in alcuni casi ho messo anche fino a quattro volte in una sola serata!
E per finire con qualcosa di più recente, anche se ormai ha già quasi vent’anni, “Played a live” di Safri Duo, che mi ricorda una ragazza con la quale sono arrivato quasi a litigare per quanta era la sua insistenza nel richiedermi di suonare questo pezzo durante una serata!

D. Dall’uno al dieci, quanto hanno influito le cose qui sotto nella storia e nella crescita del movimento della musica elettronica:

  • David Guetta
  • Il tasto SYNC
  • l’EDM
  • Gli Sweedish House Mafia
  • Avicii

R. David Guetta 10. L’EDM 10, nella sua accezione di musica elettronica a 360°. Gli Sweedish House Mafia 10. Avicii 10. Il tasto SYNC… Zero, anche se è innegabile che abbia avuto molta influenza nel nostro settore rendendo – di fatto – più semplice avvicinarsi tecnicamente a questa disciplina.

D. Quale consiglio ti sentiresti da dare alle nuove generazioni che si approcciano al mondo del djing e che vorrebbero trasformare questa loro passione in lavoro vero e proprio?

R. Il primo consiglio che dò è quello di essere umili, anche se forse a ben vedere ogni tanto occorrerebbe avere il polso più duro per non farsi pestare i piedi. Poi bisogna avere molta pazienza, non volere tutto subito e non sentirsi mai arrivati. Io stesso non mi sento arrivato e questo mi aiuta sempre a migliorare. Poi consiglio di imparare a mixare di tutto, in modo da essere tecnicamente preparati a qualsiasi necessità. L’importante è che non diventino più bravi di me, altrimenti mi fregano il posto! (Ride NdR).

Grazie Mastermax per il tempo che ci hai concesso. Sono sicuro che quanto ci hai raccontato sarà molto utile per tutti i ragazzi che sognano di diventare un dj professionista.

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